lunedì 21 ottobre 2013

HAG@ # 1 / 1998

H_A_G_@ # 1  / DICEMBRE 1998
 
[non solo pettegolezzi, ma, soprattutto, critiche: alle mostre e ai critici e a come criticano...]
 
1) L'ANIMA E IL VOLTO. L' "evento" milanese iperpompato, macchina da soldi e autocelebrazione di Flavio Caroli e dell'amministrazione.

Assalto dei milanesi ieri mattina alla mostra l'Anima e il Volto a Palazzo Reale. IN CODA PER LEONARDO, BACON E TINTORETTO. La mostra rimarrà aperta fino al 14 marzo ma ai visitatori in coda nella foto poco importa. Loro volevano vederla ieri la carrellata di capolavori esposti al Palazzo Reale sotto il titolo "L'anima e il Volto. Ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon". Così hanno pazientato a lungo prima di avere nelle mani il biglietto e godersi le meraviglie delle oltre trecento opere, fra dipinti e disegni, della pittura europea: da Leonardo all'epoca contemporanea. Flavio Caroli è il curatore della mostra. E' lui che ha costruito l' "itinerario" d'arte seguendo il filo della fisiognomica, l' "arte di giudicare un uomo dall'aspetto". E' lui che ha scelto, tra gli altri, l'arte di Tiziano, Tintoretto, Matisse e Picasso. (DIDA: Un momento della coda in piazzetta ex Reale per la mostra "l'Anima e il Volto"). (Corriere della Sera, lunedì 16/11/1998).

Fila a Palazzo Reale per "L'anima e il volto". LA VOGLIA DI CULTURA METTE IN CODA MILANO. Voglia di cultura: centinaia di milanesi hanno sfidato ieri le temperature rigide, in coda per mezz'ora, pur di entrare nelle sale di Palazzo Reale la mostra "L'anima e il volto". La qualità e il valore delle opere esposte meritano bene un po' di sacrificio: trecentocinquanta opere, un'eccezionale galleria di ritratti riuniti in nome della "fisiognomica", ovvero "l'arte di giudicare l'indole dell'uomo dall'aspetto". Si tratta di una esposizione curata da Flavio Caroli - che all'intreccio tra fisiognomica e ritratto ha dedicato oltre trent'anni di studi - e con la quale il Comune di Milano si ripropone nel giro internazionale delle città che organizzano mostre di grande interesse scientifico, ovvero allestite al termine di una lunga ricerca tematica o sperimentale, e non solo per rispondere agli interessi di spettacolarizzazione dell'arte. E la conferma che si tratta di una scelta ben fatta è proprio la lunga coda di centinaia di milanesi che ieri hanno atteso pazienti, al freddo, di poterla visitare. La mostra "L'anima e il volto resterà aperta fino a metà marzo. Ma i milanesi attendono un altro grande appuntamento culturale: l'esposizione della "Dama con l'ermellino" (…)
(DIDA: Code davanti a Palazzo Reale).
Luca Ferraiuolo (La Repubblica, lunedì 16/11/1998)

MA NON CHIAMATELA FISIOGNOMICA. Avanti e indietro per le sale di Palazzo Reale cercando di capire perché non riusciamo a provare 1'estasi e il piacere scatenato nei cantori plaudenti della mostra "L'anima e il volto". Ci sfugge dove stia la novità di questo "evento" che a noi appare un semplice trasloco di capolavori, qui convocati a ricomporre una consolidata storia di cinque secoli di ritratto, senza sorprese e senza sussulti. Poiché la storia della fisiognomica, reclamizzato filo conduttore della mostra, si rivela un inconsistente pretesto, una tesi che si perde nel nulla: empireo che brilla della sua stessa luce senza farne ricadere nemmeno una scintilla sul visitatore, al quale, invece, vengono ammannite ovvietà leggibili in qualsiasi manuale di storia dell'arte. Con anche qualche misteriosa asserzione, tipo quella, posta all'ingresso come viatico per la mostra, secondo cui con Leonardo inizia "il percorso dell'arte occidentale (e solo occidentale) che nel corso del tempo si addentra sempre più, come una sonda, nelle profondità dell'animo umano". Come se la ritrattistica romana non fosse mai esistita o fosse classificabile nell'arte orientale. Seguono poi i capolavori, divisi per secoli e non per tratti somatici. A conferma che delta solita vecchia questione dello stile si tratta e che se un ritratto di Tiziano è diverso da uno del Ceruti questo non dipende dalla fisiognomica, ma da ciò che si chiama stile e che accomuna tutti i pittori di uno stesso secolo: tanto è vero che, da sempre, così si fanno le datazioni e non con i manuali di fisiognomica. Se poi Diirer e Giorgione hanno rappresentato la Malinconia con la testa reclinata su una mano, questo, ancora, non ha nulla a che fare con la fisiognomica, ma con convenzioni ben note che vanno sotto il nome di iconografia. Tutto naufraga in una serie indistinta di luoghi comuni, profusi in didascalie dove si leggono i più generici e intercambiabili epiteti ornanti tipo: "volto intensissimo", "figure palpitanti e carnali", "sguardo glaciale e crudele". Tutto si basa su un equivoco di fondo: sull'uso improprio del vocabolario che fa coincidere fisiognomica con psicologia (e addirittura con caricatura), in un continuo e disinvolto slittamento da un significato all'altro per cui, senza rigore, la tesi frana su se stessa e l'evento, semplicemente, non c'è.  
f.b. (Vivimilano, Corriere della sera, mercoledì 11/11/1998)

TANTI RITRATTI PER NULLA.
Era prevedibile che Flavio Caroli, al momento di assumere una responsabilità generale nel programmare le mostre del Palazzo Reale di Milano, puntasse su una propria mostra-manifesto, e questa è puntualmente venuta con la megarassegna "L'anima e il volto", il cui sottotitolo, "ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon", esibisce quello che da anni è l'interesse primario dello studioso. Tuttavia, visto appunto in mostra, l'assunto di base risulta alquanto generico ed ecumenico. Basterebbe chiedersi se ci sia un solo ritratto, eseguito nell'arco storico preso in esame, in cui il compito di rendere più o meno fedelmente la fisionomia della persona ritratta non sia stato prevalente, rendendolo quindi immeritevole di entrare nella rassegna. Questo per effetto di una scelta squisitamente occidentale, che invano cercheremmo in altre culture, a favore di una rappresentazione fedele. Le cose sono cambiate con l'arte contemporanea, dove questo anelito di fedeltà fisiognomica è in corso in un deliberato programma di decostruzione. E dunque, la sezione novecentesca della mostra milanese assume un carattere totalmente diverso dalle altre parti, relative ai secoli precedenti. Entro i quali, almeno, il curatore avrebbe potuto distinguere tra quanti il tema del ritratto cercarono di risolverlo per vie normali, cioè di naturalismo coerente, vedi Caravaggio e seguaci, da chi invece adottava chiavi stravolte, specchi deformanti, in una linea che dai Manieristi giunge fino a Füssli. Così, invece, la mostra si pone come l'abbozzo di una sorta di museo indiscriminato del ritratto in epoca moderna, magari anche piacevole da visitare. Ci si chiede con qualche apprensione che cosa avverrebbe se altri mettesse in cantiere mostre ugualmente olimpiche dedicate, poniamo, al colore, o alla forma nell'arte dell'Occidente.
Renato Barilli  (L'Espresso, 10/12/1998)

2) COME TI LIQUIDO POLLOCK.

QUEI QUADRI? UNA BOIATA PAZZESCA. Speriamo che Fantozzi venga a liberarci dall'ennesimo conformismo. Come per la Corazzata Potëmkin, forse un giorno accadrà che il grido liberatorio di Fantozzi fulmini l'opera di Jackson Pollock come una "boiata pazzesca". Oggi però il mito ristagna in un conformismo (vedi Achille Bonito Oliva, vedi Renato Barilli) ancor più entusiasta di quando, in piena guerra fredda, l'artista americano veniva presentato come esempio unico di esuberanza e libertà creativa. Pur avendo scarse tradizioni pittoriche, gli Stati Uniti volevano affermare il loro primato anche in questo campo. E si impegnarono a promuovere l'immagine di un'arte che sposava il nichilismo delle avanguardie storiche con il ruvido e aggressivo individualismo della civiltà americana: era il ritratto di Jackson Pollock, scoperto de Clement Greenberg e Harold Rosenberg, occhiuti intellettuali della Partisan Review, la rivista trotzkista avvicinatasi al centro "liberal" di Arthur Schlesinger. Il presidente Truman detestava in cuor suo l'arte moderna. Ma i più avveduti esperti della Cia, come ha recentemente ammesso Tom Braden, ex capo dei servizi culturali dell'agenzia di Intelligence statunitense, la pensavano diversamente. Essi individuarono nella superavanguardia americana un modello (l'artista ribelle e selvaggio per la generazione "bruciata" dell'era atomica) da diffondere in un'Europa che sembrava priva di anticorpi culturali contro l'espansionismo ideologico comunista. Il modello Pollock funzionò a tal punto che gli Stati Uniti, fino allora considerati paese produttore di kitsch, riuscirono a imporsi nel mondo dell'alta cultura. New York sostituì Parigi e oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, non si è trovato ancora nessuno in grado di ridimensionare quel conformistico tabù. A meno che Fantozzi non ci sorprenda ancora con il suo grido provvidenziale.
Duccio Trombadori (Panorama, 26/11/98)

3) SEBASTIANO GRASSO.

GRAZIA TODERI. Videocamera al Castello. Proiezioni-video. Niente a che fare con installazioni o video-sculture. Grazia Toderi (Padova, 1963) presenta cinque lavori del '98, creati per Rivoli. Titoli: I gemelli dei castelli, II tempo capovolto, II tempo ritardato, Le orbite del Principe Otto e II decollo. L'idea-base? Lavorare all'interno di un museo-castello per far rivivere il passato (il principe Otto, per esempio, è il fratello di Ludwig di Baviera, con annessi e connessi). Il castello si muta in immagini e diventa soggetto dell'opera d'arte. Fin qui, tutto chiaro. I dolori vengono dopo. Quando si tratta di tradurre al lettore. Tentiamo. Sostituito il pennello con la video-camera, la Toderi si lancia in un'operazione illusionistico-poetica. E, come compagni di viaggio, sceglie un paio di giocolieri. Veri. Uno fa roteare un piattino sull'asta, all'intemo del salotto cinese, tracciando ellissi fra specchi e finestre dipinte. Una donna lancia una palla verso una porta, da dove rimbalza al mittente. Le video-proiezioni si fronteggiano, "come in un gioco di specchi". Per il resto, si punta sulla suggestione. Vi par poco?
Sebastiano Grasso (Corriere della Sera, sabato 14/11/1998)
 
Guida alle mostre a cura di Sebastiano Grasso.
JOSÉ MARIA SICILIA. Reduce da un viaggio in Pakistan, il pittore spagnolo (Madrid, 1954) aveva ancora in mente fiori enormi che superavano "tutto quanto aveva visto sino ad allora". Bisognava fissarli per sempre, per rivivere "sensazioni e sentimenti", emozioni e desideri. Così Sicilia decide di dipingere una serie di papaveri, "seguito ideale" dell' "horabaixa" (crepuscolo, in catalano), vale a dire quel momento in cui il fiore appassisce "come a rappresentare I'aspetto effimero della vita". Come renderli? Colate di rosso su lastre porose di cera d'api. All'intemo delle 18 opere, pagine staccate da un Corano. La religione musuImana fiorisce (Gian Ferrari).
(Corriere della Sera, sabato 14/11/1998)

4) "Il Manifesto" DA BERE.
Che bello, Il Manifesto dedica il numero del 28/11 di Alias, il supplemento del sabato, a Milano: un nunero contro la Milano "da bere". Siamo ormai rassegnati al fatto che al Manifesto dell'arte contemporanea interessi ben poco, nonostante gli eroici sforzi di Arianna Di Genova e qualche paginone concesso a Lea Vergine o Francesco Poli. Siamo abituati, qui a Milano, a un certo Rocco Bini che ci infligge segnalazioni delle mostre di Lazzaro "pittore del silenzio" o ci informa, come da comunicato stampa, che Time Out ha inserito quella di Serrano "tra le cinque migliori mostre passate a Londra in quel periodo" e che la personale di Tindaro Calia "è in particolare dedicata alla figura e al ritratto e caratterizzata da accenti cromatici vivaci". Nella mia ingenuità credevo si parlasse finalmente del Care Of, di No Admittance o di Museo Teo: per avere qualche notizia sull'arte bisogno cercare nella rubrica "Lo shopping non viene mai da solo" dove Laura Piccinini ci spiega che da Prada c'è "tutto il meglio della nuova arte dal mondo. E le vernici da non perdere con le castagne e il vin brulé migliori della città" e che si possono vedere "mostre interessanti" da Corso Como 10 "noto come "si va dalla Sozzani" (Carla). Tutto quello che manda in estasi moderata le vittime della moda anni '90…". In un trafiletto titolato Spettacolo e cultura possiamo poi scoprire che la Fondazione Mazzotta presenta "le migliori mostre (non solo) fotografiche" e che Palazzo Reale è "un classico per le mostre più "in vista" di Milano. In cartellone ci sono esposizioni di livello europeo, frequentatissime di giorno, e anche di sera". Ma non basta, la settimana successiva la signora Piccinini, forse dimenticandosi che scrive sul Manifesto oltre che sull'Espresso, ci informa, sempre su Alias, che per Natale "il segreto è regalare con understatement, fare come se il pullover da un milione in su sia stato in realtà comprato al mercatino o nell'ultima merceria rimasta in città". Grazie.

5) SAM TAYLOR-WOOD E I CARCIOFI DI JOHN JOHN.
PERSONAGGI & INTERPRETI DI LINA SOTIS. Arte e carciofi per John John.
Il primo ad arrivare è stato John John Kennedy. Si è presentato il giorno prima del vernissage. Ha guardato la mostra di Sam Taylor-Wood e poi è andato a mangiare con la giovane artista a casa di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli che, a Milano, hanno allestito un'esibizione dell'artista-fotografa alla Fondazione Prada. Sam Taylor-Wood è una delle più note esponenti della 'Freeze Generation', il più recente periodo dell'arte contemporanea inglese. Per Kennedy una colazione con i primi carciofi della stagione, che tanto gli piacciono, e una conversazione a base della "YBA-Young British Art", la tendenza alla quale appartiene l'artista. Dopo quella prima della prima alla Fondazione Prada è stato il solito evento di massa scelta. La serata, a inviti, comprende un migliaio fra giovani e anziani.  Arrivano sempre tutti.  Perché conoscono l'artista. Perché la vogliono conoscere.  Perché vogliono farsi conoscere.  Dopo, come sempre, in pochi a casa di Miuccia Prada. Strana donna-ragazza questa stilista: è la normalità più anormale che esista. Famosissima, si comporta come una qualunque.  Ricchissima, esaspera per lei e le seguaci del suo stile la semplicità.  Come lei è la sua casa e a lei si adeguano i suoi amici.  Miuccia Prada espone la freeze-generation facendo finta di non essersi accorta che sta creando una miuccia-generation.
(DIDA: Sopra, Miuccia Prada in compagnia di Sam Taylor-Wood, artista-fotografa di cui la stilista milanese ha ospitato un vernissage. Sotto, alcuni  partecipanti all'evento: Guido Ballo, Gae Aulenti e Anna Paggi). 

 

 

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