H_A_G_@ # 1 / DICEMBRE 1998
1) L'ANIMA E IL VOLTO. L' "evento" milanese
iperpompato, macchina da soldi e autocelebrazione di Flavio Caroli e
dell'amministrazione.
Assalto dei milanesi ieri mattina alla mostra l'Anima e il
Volto a Palazzo Reale. IN CODA PER LEONARDO, BACON E TINTORETTO. La mostra
rimarrà aperta fino al 14 marzo ma ai visitatori in coda nella foto poco
importa. Loro volevano vederla ieri la carrellata di capolavori esposti al
Palazzo Reale sotto il titolo "L'anima e il Volto. Ritratto e fisiognomica
da Leonardo a Bacon". Così hanno pazientato a lungo prima di avere nelle
mani il biglietto e godersi le meraviglie delle oltre trecento opere, fra
dipinti e disegni, della pittura europea: da Leonardo all'epoca contemporanea.
Flavio Caroli è il curatore della mostra. E' lui che ha costruito l'
"itinerario" d'arte seguendo il filo della fisiognomica, l'
"arte di giudicare un uomo dall'aspetto". E' lui che ha scelto, tra
gli altri, l'arte di Tiziano, Tintoretto, Matisse e Picasso. (DIDA: Un momento
della coda in piazzetta ex Reale per la mostra "l'Anima e il Volto").
(Corriere della Sera, lunedì 16/11/1998).
Fila a Palazzo Reale per "L'anima e il volto". LA
VOGLIA DI CULTURA METTE IN CODA MILANO. Voglia di cultura: centinaia di
milanesi hanno sfidato ieri le temperature rigide, in coda per mezz'ora, pur di
entrare nelle sale di Palazzo Reale la mostra "L'anima e il volto".
La qualità e il valore delle opere esposte meritano bene un po' di sacrificio:
trecentocinquanta opere, un'eccezionale galleria di ritratti riuniti in nome
della "fisiognomica", ovvero "l'arte di giudicare l'indole
dell'uomo dall'aspetto". Si tratta di una esposizione curata da Flavio
Caroli - che all'intreccio tra fisiognomica e ritratto ha dedicato oltre trent'anni
di studi - e con la quale il Comune di Milano si ripropone nel giro
internazionale delle città che organizzano mostre di grande interesse
scientifico, ovvero allestite al termine di una lunga ricerca tematica o
sperimentale, e non solo per rispondere agli interessi di spettacolarizzazione
dell'arte. E la conferma che si tratta di una scelta ben fatta è proprio la
lunga coda di centinaia di milanesi che ieri hanno atteso pazienti, al freddo,
di poterla visitare. La mostra "L'anima e il volto resterà aperta fino a
metà marzo. Ma i milanesi attendono un altro grande appuntamento culturale:
l'esposizione della "Dama con l'ermellino" (…)
(DIDA: Code davanti a Palazzo Reale).
Luca Ferraiuolo (La Repubblica, lunedì 16/11/1998)
(DIDA: Code davanti a Palazzo Reale).
Luca Ferraiuolo (La Repubblica, lunedì 16/11/1998)
MA NON CHIAMATELA FISIOGNOMICA. Avanti e indietro per le
sale di Palazzo Reale cercando di capire perché non riusciamo a provare
1'estasi e il piacere scatenato nei cantori plaudenti della mostra
"L'anima e il volto". Ci sfugge dove stia la novità di questo
"evento" che a noi appare un semplice trasloco di capolavori, qui
convocati a ricomporre una consolidata storia di cinque secoli di ritratto,
senza sorprese e senza sussulti. Poiché la storia della fisiognomica,
reclamizzato filo conduttore della mostra, si rivela un inconsistente pretesto,
una tesi che si perde nel nulla: empireo che brilla della sua stessa luce senza
farne ricadere nemmeno una scintilla sul visitatore, al quale, invece, vengono
ammannite ovvietà leggibili in qualsiasi manuale di storia dell'arte. Con anche
qualche misteriosa asserzione, tipo quella, posta all'ingresso come viatico per
la mostra, secondo cui con Leonardo inizia "il percorso dell'arte
occidentale (e solo occidentale) che nel corso del tempo si addentra sempre
più, come una sonda, nelle profondità dell'animo umano". Come se la
ritrattistica romana non fosse mai esistita o fosse classificabile nell'arte
orientale. Seguono poi i capolavori, divisi per secoli e non per tratti
somatici. A conferma che delta solita vecchia questione dello stile si tratta e
che se un ritratto di Tiziano è diverso da uno del Ceruti questo non dipende
dalla fisiognomica, ma da ciò che si chiama stile e che accomuna tutti i
pittori di uno stesso secolo: tanto è vero che, da sempre, così si fanno le
datazioni e non con i manuali di fisiognomica. Se poi Diirer e Giorgione hanno
rappresentato la Malinconia con la testa reclinata su una mano, questo, ancora,
non ha nulla a che fare con la fisiognomica, ma con convenzioni ben note che
vanno sotto il nome di iconografia. Tutto naufraga in una serie indistinta di
luoghi comuni, profusi in didascalie dove si leggono i più generici e
intercambiabili epiteti ornanti tipo: "volto intensissimo",
"figure palpitanti e carnali", "sguardo glaciale e
crudele". Tutto si basa su un equivoco di fondo: sull'uso improprio del vocabolario
che fa coincidere fisiognomica con psicologia (e addirittura con caricatura),
in un continuo e disinvolto slittamento da un significato all'altro per cui,
senza rigore, la tesi frana su se stessa e l'evento, semplicemente, non c'è.
f.b. (Vivimilano, Corriere della sera, mercoledì 11/11/1998)
f.b. (Vivimilano, Corriere della sera, mercoledì 11/11/1998)
TANTI RITRATTI PER NULLA.
Era prevedibile che Flavio Caroli, al momento di assumere una responsabilità generale nel programmare le mostre del Palazzo Reale di Milano, puntasse su una propria mostra-manifesto, e questa è puntualmente venuta con la megarassegna "L'anima e il volto", il cui sottotitolo, "ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon", esibisce quello che da anni è l'interesse primario dello studioso. Tuttavia, visto appunto in mostra, l'assunto di base risulta alquanto generico ed ecumenico. Basterebbe chiedersi se ci sia un solo ritratto, eseguito nell'arco storico preso in esame, in cui il compito di rendere più o meno fedelmente la fisionomia della persona ritratta non sia stato prevalente, rendendolo quindi immeritevole di entrare nella rassegna. Questo per effetto di una scelta squisitamente occidentale, che invano cercheremmo in altre culture, a favore di una rappresentazione fedele. Le cose sono cambiate con l'arte contemporanea, dove questo anelito di fedeltà fisiognomica è in corso in un deliberato programma di decostruzione. E dunque, la sezione novecentesca della mostra milanese assume un carattere totalmente diverso dalle altre parti, relative ai secoli precedenti. Entro i quali, almeno, il curatore avrebbe potuto distinguere tra quanti il tema del ritratto cercarono di risolverlo per vie normali, cioè di naturalismo coerente, vedi Caravaggio e seguaci, da chi invece adottava chiavi stravolte, specchi deformanti, in una linea che dai Manieristi giunge fino a Füssli. Così, invece, la mostra si pone come l'abbozzo di una sorta di museo indiscriminato del ritratto in epoca moderna, magari anche piacevole da visitare. Ci si chiede con qualche apprensione che cosa avverrebbe se altri mettesse in cantiere mostre ugualmente olimpiche dedicate, poniamo, al colore, o alla forma nell'arte dell'Occidente.
Renato Barilli
(L'Espresso, 10/12/1998)Era prevedibile che Flavio Caroli, al momento di assumere una responsabilità generale nel programmare le mostre del Palazzo Reale di Milano, puntasse su una propria mostra-manifesto, e questa è puntualmente venuta con la megarassegna "L'anima e il volto", il cui sottotitolo, "ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon", esibisce quello che da anni è l'interesse primario dello studioso. Tuttavia, visto appunto in mostra, l'assunto di base risulta alquanto generico ed ecumenico. Basterebbe chiedersi se ci sia un solo ritratto, eseguito nell'arco storico preso in esame, in cui il compito di rendere più o meno fedelmente la fisionomia della persona ritratta non sia stato prevalente, rendendolo quindi immeritevole di entrare nella rassegna. Questo per effetto di una scelta squisitamente occidentale, che invano cercheremmo in altre culture, a favore di una rappresentazione fedele. Le cose sono cambiate con l'arte contemporanea, dove questo anelito di fedeltà fisiognomica è in corso in un deliberato programma di decostruzione. E dunque, la sezione novecentesca della mostra milanese assume un carattere totalmente diverso dalle altre parti, relative ai secoli precedenti. Entro i quali, almeno, il curatore avrebbe potuto distinguere tra quanti il tema del ritratto cercarono di risolverlo per vie normali, cioè di naturalismo coerente, vedi Caravaggio e seguaci, da chi invece adottava chiavi stravolte, specchi deformanti, in una linea che dai Manieristi giunge fino a Füssli. Così, invece, la mostra si pone come l'abbozzo di una sorta di museo indiscriminato del ritratto in epoca moderna, magari anche piacevole da visitare. Ci si chiede con qualche apprensione che cosa avverrebbe se altri mettesse in cantiere mostre ugualmente olimpiche dedicate, poniamo, al colore, o alla forma nell'arte dell'Occidente.
2) COME TI LIQUIDO POLLOCK.
QUEI QUADRI? UNA BOIATA PAZZESCA. Speriamo che Fantozzi
venga a liberarci dall'ennesimo conformismo. Come per la Corazzata Potëmkin,
forse un giorno accadrà che il grido liberatorio di Fantozzi fulmini l'opera di
Jackson Pollock come una "boiata pazzesca". Oggi però il mito
ristagna in un conformismo (vedi Achille Bonito Oliva, vedi Renato Barilli)
ancor più entusiasta di quando, in piena guerra fredda, l'artista americano
veniva presentato come esempio unico di esuberanza e libertà creativa. Pur
avendo scarse tradizioni pittoriche, gli Stati Uniti volevano affermare il loro
primato anche in questo campo. E si impegnarono a promuovere l'immagine di
un'arte che sposava il nichilismo delle avanguardie storiche con il ruvido e
aggressivo individualismo della civiltà americana: era il ritratto di Jackson
Pollock, scoperto de Clement Greenberg e Harold Rosenberg, occhiuti
intellettuali della Partisan Review, la rivista trotzkista avvicinatasi al
centro "liberal" di Arthur Schlesinger. Il presidente Truman
detestava in cuor suo l'arte moderna. Ma i più avveduti esperti della Cia, come
ha recentemente ammesso Tom Braden, ex capo dei servizi culturali dell'agenzia
di Intelligence statunitense, la pensavano diversamente. Essi individuarono
nella superavanguardia americana un modello (l'artista ribelle e selvaggio per
la generazione "bruciata" dell'era atomica) da diffondere in
un'Europa che sembrava priva di anticorpi culturali contro l'espansionismo
ideologico comunista. Il modello Pollock funzionò a tal punto che gli Stati
Uniti, fino allora considerati paese produttore di kitsch, riuscirono a imporsi
nel mondo dell'alta cultura. New York sostituì Parigi e oggi, dopo la caduta
del Muro di Berlino, non si è trovato ancora nessuno in grado di ridimensionare
quel conformistico tabù. A meno che Fantozzi non ci sorprenda ancora con il suo
grido provvidenziale.
Duccio Trombadori (Panorama, 26/11/98)
3) SEBASTIANO GRASSO.
GRAZIA TODERI. Videocamera al Castello. Proiezioni-video.
Niente a che fare con installazioni o video-sculture. Grazia Toderi (Padova,
1963) presenta cinque lavori del '98, creati per Rivoli. Titoli: I gemelli dei
castelli, II tempo capovolto, II tempo ritardato, Le orbite del Principe Otto e
II decollo. L'idea-base? Lavorare all'interno di un museo-castello per far
rivivere il passato (il principe Otto, per esempio, è il fratello di Ludwig di
Baviera, con annessi e connessi). Il castello si muta in immagini e diventa
soggetto dell'opera d'arte. Fin qui, tutto chiaro. I dolori vengono dopo.
Quando si tratta di tradurre al lettore. Tentiamo. Sostituito il pennello con
la video-camera, la Toderi si lancia in un'operazione illusionistico-poetica.
E, come compagni di viaggio, sceglie un paio di giocolieri. Veri. Uno fa
roteare un piattino sull'asta, all'intemo del salotto cinese, tracciando
ellissi fra specchi e finestre dipinte. Una donna lancia una palla verso una
porta, da dove rimbalza al mittente. Le video-proiezioni si fronteggiano,
"come in un gioco di specchi". Per il resto, si punta sulla
suggestione. Vi par poco?
Sebastiano Grasso (Corriere della Sera, sabato 14/11/1998)
JOSÉ MARIA SICILIA. Reduce da un viaggio in Pakistan, il pittore spagnolo (Madrid, 1954) aveva ancora in mente fiori enormi che superavano "tutto quanto aveva visto sino ad allora". Bisognava fissarli per sempre, per rivivere "sensazioni e sentimenti", emozioni e desideri. Così Sicilia decide di dipingere una serie di papaveri, "seguito ideale" dell' "horabaixa" (crepuscolo, in catalano), vale a dire quel momento in cui il fiore appassisce "come a rappresentare I'aspetto effimero della vita". Come renderli? Colate di rosso su lastre porose di cera d'api. All'intemo delle 18 opere, pagine staccate da un Corano. La religione musuImana fiorisce (Gian Ferrari).
(Corriere della Sera, sabato 14/11/1998)
4) "Il Manifesto" DA BERE.
Che bello, Il Manifesto dedica il numero del 28/11 di Alias,
il supplemento del sabato, a Milano: un nunero contro la Milano "da
bere". Siamo ormai rassegnati al fatto che al Manifesto dell'arte
contemporanea interessi ben poco, nonostante gli eroici sforzi di Arianna Di
Genova e qualche paginone concesso a Lea Vergine o Francesco Poli. Siamo
abituati, qui a Milano, a un certo Rocco Bini che ci infligge segnalazioni
delle mostre di Lazzaro "pittore del silenzio" o ci informa, come da
comunicato stampa, che Time Out ha inserito quella di Serrano "tra le
cinque migliori mostre passate a Londra in quel periodo" e che la
personale di Tindaro Calia "è in particolare dedicata alla figura e al
ritratto e caratterizzata da accenti cromatici vivaci". Nella mia
ingenuità credevo si parlasse finalmente del Care Of, di No Admittance o di
Museo Teo: per avere qualche notizia sull'arte bisogno cercare nella rubrica
"Lo shopping non viene mai da solo" dove Laura Piccinini ci spiega
che da Prada c'è "tutto il meglio della nuova arte dal mondo. E le vernici
da non perdere con le castagne e il vin brulé migliori della città" e che
si possono vedere "mostre interessanti" da Corso Como 10 "noto
come "si va dalla Sozzani" (Carla). Tutto quello che manda in estasi
moderata le vittime della moda anni '90…". In un trafiletto titolato
Spettacolo e cultura possiamo poi scoprire che la Fondazione Mazzotta presenta
"le migliori mostre (non solo) fotografiche" e che Palazzo Reale è
"un classico per le mostre più "in vista" di Milano. In
cartellone ci sono esposizioni di livello europeo, frequentatissime di giorno,
e anche di sera". Ma non basta, la settimana successiva la signora
Piccinini, forse dimenticandosi che scrive sul Manifesto oltre che
sull'Espresso, ci informa, sempre su Alias, che per Natale "il segreto è
regalare con understatement, fare come se il pullover da un milione in su sia
stato in realtà comprato al mercatino o nell'ultima merceria rimasta in
città". Grazie.
5) SAM TAYLOR-WOOD E I CARCIOFI DI JOHN JOHN.
PERSONAGGI & INTERPRETI DI LINA SOTIS. Arte e carciofi
per John John.
Il primo ad arrivare è stato John John Kennedy. Si è
presentato il giorno prima del vernissage. Ha guardato la mostra di Sam
Taylor-Wood e poi è andato a mangiare con la giovane artista a casa di Miuccia
Prada e Patrizio Bertelli che, a Milano, hanno allestito un'esibizione
dell'artista-fotografa alla Fondazione Prada. Sam Taylor-Wood è una delle più
note esponenti della 'Freeze Generation', il più recente periodo dell'arte
contemporanea inglese. Per Kennedy una colazione con i primi carciofi della
stagione, che tanto gli piacciono, e una conversazione a base della
"YBA-Young British Art", la tendenza alla quale appartiene l'artista.
Dopo quella prima della prima alla Fondazione Prada è stato il solito evento di
massa scelta. La serata, a inviti, comprende un migliaio fra giovani e
anziani. Arrivano sempre tutti. Perché conoscono l'artista. Perché la
vogliono conoscere. Perché vogliono
farsi conoscere. Dopo, come sempre, in
pochi a casa di Miuccia Prada. Strana donna-ragazza questa stilista: è la
normalità più anormale che esista. Famosissima, si comporta come una
qualunque. Ricchissima, esaspera per lei
e le seguaci del suo stile la semplicità.
Come lei è la sua casa e a lei si adeguano i suoi amici. Miuccia Prada espone la freeze-generation
facendo finta di non essersi accorta che sta creando una miuccia-generation.(DIDA: Sopra, Miuccia Prada in compagnia di Sam Taylor-Wood, artista-fotografa di cui la stilista milanese ha ospitato un vernissage. Sotto, alcuni partecipanti all'evento: Guido Ballo, Gae Aulenti e Anna Paggi).
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